Erano amici, molto amici. Eppure l’uno non volle mai scrivere sulla rivista fondata dall’altro, e viceversa quest’ultimo formulò pubblicamente giudizi critici sull’iniziativa per cui il primo si stava spendendo anima e cuore... Erano amici, sì, don Primo Mazzolari e padre David Maria Turoldo, molto amici: nel dopoguerra milanese i loro sentimenti e riferimenti, sia culturali sia ecclesiali, furono i medesimi; né il frate servita friulano (più giovane) negò mai un suo discepolato rispetto al più anziano parroco-giornalista di Bozzolo. Ma ciò nonostante le tre lettere inedite – le uniche finora rintracciate tra quelle che i due si scambiarono: fatto strano, vista la mole degli epistolari intrattenuti da entrambi –, ora pubblicate dal periodico della Fondazione Mazzolari Impegno, attestano qualche solida distanza. Lo nota anche la storica Mariangela Maraviglia, una specialista del mondo mazzolariano, nello studio che accompagna la pubblicazione delle missive, risalenti ad anni tra il 1949 e il 1953, «periodi cruciali della vita di Mazzolari e Turoldo». Don Primo e padre David si erano conosciuti in anni imprecisati, comunque durante l’ultima guerra: quando il frate d’origine furlana si trovava a Milano per studiare alla Cattolica – e fare attività «partigiana» anche attraverso la rivista clandestina L’Uomo fondata da Mario Apollonio e Gustavo Bontadini. Proprio di un incontro tra il parroco-scrittore e la redazione del periodico milanese è rimasta traccia sulle pagine di quest’ultimo, quando nel 1946 pubblicò due capitoli del mazzolariano Il compagno Cristo unendovi però un corsivo non solo d’elogio: «Un pomeriggio sul declinare dell’estate, qui a Santa Maria, noi de L’Uomo parlammo a lungo con Don Mazzolari: alla fine ci trovammo non completamente d’accordo, o almeno non in tutto consonanti. Ma ascoltare un prete come lui è sempre bello». Il disaccordo col frate-poeta riaffiora pochi anni dopo, nel gennaio 1949, quando il parroco cremonese lancia il quindicinale Adesso e – naturalmente – vorrebbe che l’amico, ormai prestigioso letterato, vi scriva. Ma ciò non avviene, nonostante don Primo non si faccia scrupolo di mettere in mezzo l’intercessione di amici comuni; come mai? Lo stesso Turoldo lo spiegherà in un ricordo di don Mazzolari – l’unico a sua firma – risalente al 1969, decennale della morte del sacerdote cremonese: «Io non volevo assolutamente un unico partito cattolico; non volevo che il partito si confondesse con la Chiesa; non volevo il monopolio politico delle coscienze. Cosa che non voleva neppure don Mazzolari, ma tuttavia credeva nel partito, e io a oppormi perfino al nome, eccetera. È stata la ragione per cui non ho mai scritto su Adesso (...) Naturalmente ci siamo divisi nel modo più pacifico e ovvio. Divisi e mai separati! Anzi fu don Primo a dirmi alla fine di una riunione: "Va bene, David: procediamo in ordine sparso, perché se hanno da sparare a me vai avanti tu: se sparano a te, andrò avanti io"». Le lettere ora pubblicate risentono dell’eco di tale divergenza d’opinioni.
Nella prima Turoldo si giustifica con l’amico che si è evidentemente offeso perché, invece di un articolo del frate letterato, ne ha ricevuto un aiuto in denaro: «Non pensavo di farti un dispiacere così grosso nello spedirti la mia offerta per il tuo giornale senza aggiungervi parola. Non volevo umiliarti, anzi usavo la nostra amicizia che è il terreno migliore della libertà (...) In quest’ultimo tempo non ho potuto seguire tanto il tuo Adesso, comunque sai già il mio pensiero: nonostante tutte le divergenze, l’impegno con Cristo deve essere la rinsaldatura definitiva, la paga ultima della nostra vocazione. E questo mi deriva da te, ed è tutto. Adesso. In tutti i momenti. Si tratterà di modi diversi, e forse è bene che i modi sian diversi, come diverse sono le nostre voci e i nostri volti». D’altra parte don Primo si smarca pubblicamente dall’impegno che il religioso servita aveva preso per Nomadelfia, la comunità evangelica fondata da Zeno Saltini e all’epoca in continua ricerca di fondi per sopravvivere. Nonostante l’evidente bontà dell’opera, infatti, Mazzolari non condivideva il modo irruente e provocatorio di agire di don Zeno, e lo scrisse nel febbraio 1952 su Adesso parlando di lavoro «poco razionalmente organizzato» e di personalità «alquanto irregolare ed estrosa»; un giudizio che suscitò reazioni focose nel fondatore di Nomadelfia ma anche in padre Turoldo, che aveva assunto funzione di «ministro degli esteri» per la comunità, sposandone completamente gli intenti e le esigenze. Il contrasto è senza dubbio forte, tanto che don Primo teme di aver perso per sempre l’amicizia di fra David: «A volte sei irruento fino alla temerarietà – aveva scritto Mazzolari al confratello in un altro degli inediti ora pubblicati –, poi, ti contieni saggiamente e diplomaticamente (...) Spero di vederti presto e di dirti anche a voce che ho fiducia in te, che ti voglio bene e che mi fa bene il tuo bene, anche se silenzioso. Le anime s’incontrano veramente oltre i limiti della parola». Il curioso è che non solo la storia ha poi dato ragione alle reciproche critiche di entrambi, ma che l’uno e l’altro alla fine dovettero convergere proprio sull’opinione dell’amico. Infatti Mazzolari non tarderà ad esprimere su Adesso tutta la sua delusione per la politica realizzata dal «partito cattolico» (esattamente ciò che gli aveva preannunciato Turoldo!), mentre quest’ultimo alla fine si allontanò da Nomadelfia...
Comunque sia, c’è un terreno su cui i due religiosi si trovano inequivocabilmente uniti: le difficoltà con la gerarchia ecclesiastica. Ne abbiamo segnali anche nelle lettere ora rese note: così nel 1952 don Primo accennava a «ciò che si trama sulla mia pelle... La prova ebbe in questi ultimi tempi nuova esacerbazione per interventi del Concilio e della Segreteria di Stato. Speriamo che si fermano (sic) lì, quantunque sia preparato anche al peggio», mentre all’inizio del 1953 il servita annunciava in un biglietto il suo allontanamento dalla milanese Corsia dei Servi: «Caro D. Primo, sono di partenza. Ti saluto più che fraternamente! Non so cosa dirti. Ho il cuore "rotto"». Divisi magari nelle opinioni, ma uniti nei momenti difficili.