Secondo le stime delle Nazioni Unite, nel 2000 i malati di quella particolare forma di infermità mentale che va sotto il nome di malattia di Alzheimer erano 25,5 milioni e le previsioni indicano un aumento allarmante di questa cifra: 63 milioni nel 2013 e 114 milioni nel 2050: accompagnato, ciascun caso, dal dramma non solo delle persone che perdono sé stesse nell’oblio, ma anche delle loro famiglie, afflitte da un peso pratico ed emotivo straziante. Inoltre, al di là delle speranze legate alla incessante attività di ricerca, nessuno può dire se e quando si riuscirà a trovare una cura. Nel corso del convegno dedicato a questa malattia, che si è aperto ieri al Centro San Giovanni di Dio di Brescia, si sono approfonditi, accanto agli aspetti medici, anche quelli storici, relativi non solo al neuropatologo e psichiatra tedesco Alois Alzheimer (14 giugno 1864 - 19 dicembre 1915), ma anche al medico udinese Gaetano Perusini (24 febbraio 1879 - 8 dicembre 1915) che di Alzheimer fu allievo e collaboratore. Nel 1908 il giovane Perusini, che padroneggiava perfettamente il tedesco, si vide affidare da Alzheimer lo studio di quattro casi di una forma di demenza che in un convegno del 1906 a Tubinga lo psichiatra tedesco aveva dichiarato non potersi inserire nel quadro delle malattie conosciute. La comunicazione di Alzheimer non aveva destato quasi nessun interesse e la sua convinzione che ci si trovasse di fronte a un processo patologico particolare era caduta nell’indifferenza, complice anche la crescente influenza in quel periodo delle teorie psicoanalitiche, che si opponevano all’indirizzo anatomico proprio nel momento in cui anche in medicina si adottavano i principi e i metodi della scien- za sperimentale, basati su dati oggettivi, quantitativi e misurabili, e si abbandonavano le speculazioni teoriche e filosofiche di sapore romantico. Il Perusini si dedicò con passione al lavoro affidatogli (tra i quattro casi studiati vi era anche quello di Augusta Deter, che Alzheimer aveva presentato al convegno di Tubinga) e lo concluse in breve tempo, dando alle stampe nel 1909 un voluminoso articolo di 56 pagine, con 7 immagini istologiche prese al microscopio e 7 tavole a colori fuori testo che illustravano le lesioni cerebrali più significative. Il giovane italiano mette in evidenza non solo l’atrofia cerebrale, ma anche altri elementi fondamentali del quadro microscopico, tuttavia, con grande equilibrio, non prende partito né a favore né contro l’ipotesi che si tratti di un forma nuova di demenza. Del resto qualche dubbio in questo senso nutriva lo stesso Alzheimer, che non sapeva se attribuire i segni istologici singolari riscontrati nei cervelli esaminati alla demenza senile ordinaria oppure a una forma nuova. Nel 1911 è ancora Gaetano Perusini a dare un’indicazione ulteriore, rilevando che, se le placche non mancano mai come correlato istologico nel cervello dei pazienti affetti da demenza senile, e sono tanto più estese quanto più grave è la malattia, la vera novità della scoperta delle «forme atipiche della demenza senile individualizzate da Alzheimer» è costituita dalle alterazioni delle neurofibrille. Tuttavia il giovane non vuole ancora trarre una conclusione definitiva: ha bisogno di più tempo, di altre indagini: ma il suo tempo, come vedremo, volge al termine. È curioso, e forse significativo per chi crede nelle coincidenze e nella numerologia, che maestro e allievo muoiano nello stesso mese, dicembre, del 1915, Perusini l’8 e Alzheimer il 19: per cui oggi è più o meno esattamente il centenario della scomparsa di entrambi. Ma le circostanze della morte furono assai diverse. Alzheimer, ottenuta nel 1912 la cattedra di psichiatria a Breslavia, proseguì la sua attività di clinico, ricercatore e docente. Poco a poco comincerà a soffrire, probabilmente per una sepsi da endocardite che lo condurrà a morte. Benché i funerali vedessero una partecipazione straordinaria di colleghi e pubblico, in quasi nessuno dei necrologi si fece menzione della “sua” scoperta: forse per una sorta di contrappasso, sulla malattia che si manifesta con un oblio tremendo di sé calava l’oblio, oblio che continuò fino agli anni 70 del Novecento. Del tutto diversa la sorte di Perusini: antiaustriaco e patriota per tradizione familiare, si arruolò volontario nell’esercito italiano. Il 28 novembre, mentre in un’infermeria sulle pendici del Podgora prestava soccorso ai feriti, fu colpito da una granata nemica. Trasportato in un ospedale di guerra allestito in quel di di Cormòns, vicino a Gorizia, morì l’8 dicembre 2015. Decorato con medaglia d’argento al valor militare, meriterebbe anche un riconoscimento scientifico per i suoi studi sulla malattia di Alzheimer, che, come ha riconosciuto anche la scuola tedesca, dovrebbe chiamarsi di Alzheimer-Perusini.