Tommaso Piroli da John Flaxman, "Dante e Virgilio incontrano Farinata degli Uberti e Cavalcante de’ Cavalcanti". Biblioteca Vaticana, Cicognara IV.1094.obl. - Immagine tratta dalla mostra online “Viaggiare con Dante” della Biblioteca Vaticana
Il pontificato di Francesco è uno dei pochi eventi che si possono definire nuovi nel quadro travagliato della contemporaneità. Dove nuovo non è contrapposizione, ma energica e corposa rigenerazione della storia della tradizione. Nuova presenza, distillato di semplicità complessa e diretta che ha i piedi saldamente ancorati a terra, una terra che è terra di tutti, terra che calpestiamo, che ci genera ed è capace di impartirci lezioni memorabili e severe. Quella terra è già la promessa mantenuta dove si giocano i destini del cielo con cui coincide, attraverso il nostro corpo e il nostro gesto. Leggendo la Candor Lucis aeternae non ho potuto fare a meno di vedere una assonanza tra la Chiesa che Francesco ci ha indicato in questi anni e la strategia artistica di Dante. Una assonanza di metodo e sostanza.
Cosa è la Divina Commedia se non l’incontro perfetto tra una visione cosmologica che si snoda attraverso vette teologiche e poetiche inarrivate, e la concretezza che si può toccare con mano, testimonianza fisicamente presente del percorso tribolato della salvezza che sembra snodarsi proprio lì, davanti a noi, in quei personaggi che costituiscono la nostra stessa carne? Che cosa è la Chiesa di Francesco se non la rivelazione del mistero inclusivo il cui volto è fatto di volti concreti, così prossimi che non dovrebbe essere possibile ignorarne la presenza, che trae la sua linfa dalla schiettezza di tutte le vite, nessuna esclusa, una Chiesa il cui corpo mistico è il nostro stesso corpo, differenza e condivisione, mirabile fermento di inquietudine e slancio? Ho sempre pensato che l’arte è come la fede. Può sembrare che la sua essenza trovi ragione nelle tante soluzioni che incontra, nelle forme cui dà sostanza. Dentro questa percezione invece si nasconde una delle principali difficoltà e debolezze dell’uomo contemporaneo. Le opere dell’artista, come i fatti della fede, sono conseguenza, non scaturigine.
La miriade di suggestioni che abitano la Divina Commedia in una sorta di mirabile teatro destinato a ripetersi per l’eternità nascono da una visione complessiva. Una intuizione da cui a cascata proviene tutto il resto. In questo Dante non solo è attuale, ma mostra una direzione per il futuro, se l’umanesimo vuole avere un futuro. Noi contemporanei della nostra contemporaneità polverizzata e priva di peso ci siamo condannati per qualche motivo al frazionamento sempre più feroce del sapere, del vedere e del pensare, forse anche del credere. Abbiamo coltivato e continuiamo pervicacemente a coltivare la mitologia della separazione, del contingentamento del nostro stesso essere per comparti che provvediamo a sigillare in bolle anestetiche e sterili. Questo ci conduce inesorabilmente alla alienazione di un percorso che si chiude in se stesso.
Dante ci parla di un modo di essere completamente diverso. L’ambizione dell’uomo a non accontentarsi, alla totalità di un tragitto che non lasci fuori nulla della sua umanità, che sappia dare risposta e completamento al bene come al male, che sappia far intravedere il compimento come esperienza condivisa e non solitaria. Dante traccia un metodo dell’arte e della fede semplicemente perché ne è il primo protagonista e il primo a tentarne l’azzardo. Ciò che si mette in gioco, nella Divina Commedia, è la sua vita, non quella di altri. Ecco la via per l’artista, ecco la via per il fedele, ecco la via per l’uomo, genuina, sincera e rischiosa. Ecco la Chiesa di Francesco che batte la polvere delle strade perché non teme il sudore, non teme l’odore, non teme quella carne che è stata scelta come luogo possibile del nostro riscatto.