Un gruppo di archeologi dell’Università di Boston, coordinati dall’italiano Francesco Berna, ha scoperto nella caverna di Wonderwerk, in Sudafrica, i resti di un focolare risalente a un milione di anni fa, che retrodata il controllo del fuoco da parte degli antenati dell’uomo (probabilmente Homo erectus) di ben trecentomila anni. La presenza di frammenti ossei calcinati e strumenti di pietra accanto al focolare suggerisce che esso fosse impiegato in primo luogo per cucinare la carne, anche se, a detta di Berna, non si può escludere che le ossa fossero gettate nel fuoco dopo essere state spolpate crude. L’ambiente chiuso della grotta consente di escludere l’accensione da parte di fenomeni naturali, come i fulmini. L’adozione di una dieta a base di cibi cotti è considerata una svolta capitale della storia (pre)umana: i cibi cotti sono più facili da masticare e da digerire e il fuoco elimina molti agenti patogeni. Inoltre esso consente di difendersi meglio dagli attacchi notturni degli animali da preda. Come illustra l’avvincente romanzo fantastico di J.-H. Rosny (1911) 'La Guerre du feu', trasposto sullo schermo nel 1981 da Jean-Jacques Annaud, possiamo immaginare che tutta la vita sociale della tribù fosse organizzata intorno alla conservazione del fuoco. Non per nulla, in epoca molto più recente, subito dopo la fondazione di Roma l’ordine sacerdotale delle Vestali aveva il compito di custodire il fuoco sacro a Vesta, che simboleggiava la vita della città.
E l’importanza del fuoco è testimoniata dal dono che ne fece Prometeo agli uomini miserabili e tremebondi. Ma se gli effetti della cottura dei cibi sono ben documentati, altrettanto importanti se non di più, furono le conseguenze socioculturali del fuoco: il suo poter aggregativo, che si esplica nella fascinazione quasi ipnotica del lingueggiare delle fiamme, è fortissimo e spinge alla riflessione e alla narrazione. Le storie, di cui l’uomo è inesausto tessitore e ascoltatore, sono agevolate da questo elemento mobile e multicolore, alchemico, trasmutativo e purificatore, verso cui si appuntano gli sguardi dei novellatori e degli uditori: davanti al fuoco non si hanno occhi per altro. E questo narrare rafforza il legame tra i presenti, ne fomenta lo spirito collaborativo e quella che è stata chiamata 'intelligenza collettiva'. Così, attraverso il fuoco e le sue virtù socializzanti, si potenzia il circolo mano-cervello-parola, che porta all’ominazione, alla nascita faticosa e mirabile dello spirito.
Oggi il fuoco è nascosto nelle caldaie relegate in cantina, e ce ne giunge il calore mediato da tubi e radiatori sibilanti e gorgoglianti, voci fantasmatiche di uno scomparso: che conseguenze può avere questa eclisse sulla narrazione? Narrare intorno a un termosifone non è la stessa cosa che narrare intorno a un focolare. Il fascino, ma anche la duplicità, del fuoco sono stati scandagliati con intelligenza e sensibilità da Gaston Bachelard (1884- 1962) nella sua 'Psychanalyse du feu', libro che si raccomanda a tutti coloro che amano e che temono il fuoco e il suo profondo simbolismo.