Una raccolta di scritti sulla famiglia, i suoi problemi e le sue immense prospettive. Redatti nei venti anni in cui il cardinale Carlo Maria Martini (foto sopra), esercitando la funzione di pastore sulla cattedra di Sant’Ambrogio, ha potuto incontrare e conoscere la varietà di situazioni familiari esistenti in una grande città come Milano. «Famiglie in esilio. Ferite, ritrovate, riconciliate» (San Paolo, 168 pagine, euro 16, in libreria da oggi), pur presentando la realtà in tutte le sue sfaccettature, spesso devastate e poco lusinghiere, è soprattutto un libro di speranza. Affronta una per una tutte le evidenze pastorali, dalla disgregazione familiare e morale, all’educazione dei figli, alla necessità di ripercorrere le perdute strade dell’amore per tentare di ricostruire l’unità perduta. Perché – come fa notare Giuliano Vigini nella Prefazione al volume, di cui anticipiamo alcuni stralci – non bisogna mai cedere alla tentazione che tutto sia perduto.
Per esser stato oltre vent’anni (1980-2002) il pastore di una grande città come Milano, e di un’ancor più grande diocesi, il cardinale Carlo Maria Martini ha avuto numerose occasioni di contatto diretto con persone e famiglie, in ambienti diversi. E certo, incontrandole e ascoltandole, ha potuto decifrare la complessità delle situazioni in cui la gente vive, nel contesto di una società mutata nella coscienza degli ideali, dei valori e delle responsabilità, sia individuali che pubbliche, e di riflesso anche nella mentalità, nei comportamenti e negli stili di vita.Non soltanto dunque la polis è cambiata per effetto del groviglio di problemi connessi all’economia e al lavoro, ma soprattutto in relazione al decadimento etico, alla crisi di credibilità e, di conseguenza, alla svalutazione delle istituzioni, alla sfiducia e al distacco dei cittadini dalla politica, ai conflitti tra generazioni; è cambiata perché ha elaborato una diversa concezione di sé e del mondo, trovando (o credendo di trovare) modelli e punti di riferimento più consoni rispetto al passato per un’affermazione nuova di libertà individuali e di giustizia sociale. Anche la famiglia è rimasta profondamente scossa in tutto questo rivolgimento di idee, costumi e prospettive, che non sembrano peraltro aver rinsaldato la realtà etica e spirituale della polis, nella consapevolezza dell’appartenenza dei singoli alla città degli uomini, come cittadini che agiscono in concordia per il bene comune. Certo la famiglia italiana ha resistito meglio di altre all’onda d’urto che rischiava di lederne irreparabilmente le fondamenta come istituzione cardine della convivenza sociale, ma indubbiamente anch’essa ha risentito di un equilibrio generale che in parte si è spezzato, in parte si è appannato e impoverito. Si è spezzato, generando instabilità e precarietà, per il consistente e costante aumento delle separazioni e dei divorzi, la diminuzione della durata media dei matrimoni, il moltiplicarsi delle coppie di fatto e dei figli nati fuori del matrimonio, con scelte determinate da atti di volontà «libera e libertaria», non vincolanti come impegni e responsabilità e potenzialmente quindi anche provvisori, pur in presenza di richieste di legittimità, tutela e riconoscimento sociale equiparabili a quelle della famiglia naturale. Si è appannato e impoverito, perché la famiglia, diventata psicologicamente e affettivamente più fragile nelle relazioni di coppia, si è ritrovata meno sicura e più sola. Problemi che si sono aggravati per le difficoltà economiche, ma anche per lo stress determinato da un ambiente urbano e da un’organizzazione sociale che ne ha accentuato la debolezza e accelerato il disagio. Il problema pastorale, di fronte a una situazione fa- miliare così problematica, emerge quindi con evidenza. Anche nei meglio disposti e perseveranti si è insinuata la sensazione di essere impotenti e inutili, e la tentazione della rinuncia e dell’abbandono, per l’impossibilità percepita di non riuscire più a sostenere il valore di una famiglia buona, onesta, unita, e consapevole in cui ognuno è parte essenziale e integrante del cammino di tutti. Nell’analisi di Martini questa tentazione viene più volte messa in luce, per ribadire che le difficoltà crescenti dell’educare non devono condurre a una forma di paralisi o di pessimismo, ma devono rendere ancora più intenso lo sforzo di chi ha il compito pastorale delle famiglie, e della cura dei giovani in particolare, di indicare, e testimoniare, quell’insieme di virtù, responsabilità e beni comuni che fanno crescere come persone e come membri della società. Se questo è il contesto, è evidente che educare è più difficile, pur restando sempre un compito bello e gioioso. Per la Chiesa, la famiglia cristiana è l’àmbito in cui prende avvio la trasmissione del messaggio e dell’esperienza di fede in Gesù: messaggio che, vissuto all’interno del nucleo familiare, si dilata poi a tutta la rete dei rapporti quotidiani con gli altri. Il cardinale Martini illustra questo aspetto risalendo nella Bibbia alle vicende di Giuseppe, il figlio di Giacobbe, narrate nel libro della Genesi (capitoli 37-50), e le pone come emblema dei drammi, delle divisioni e degli errori che possono attraversare, scompaginandola, la vita di una famiglia, di un popolo, di un’intera società. Ma il racconto di questa famiglia è anche la rappresentazione che Dio pazientemente agisce per superare i risentimenti e le vendette e far trovare la strada di una riconciliazione che segni l’inizio di un nuovo modo di vivere insieme come fratelli.Se il primo attore di questa riconciliazione è Dio, gli altri protagonisti sono in varia misura i membri stessi di questa famiglia: Giuseppe, i suoi fratelli, il padre Giacobbe. Da qui l’insegnamento che Martini ricava dal racconto biblico: la certezza che non ci sono errori irreparabili, ma esiste sempre per tutti una possibilità di ravvedimento e riscatto, in virtù della misericordia e della forza riconciliatrice dell’amore di Dio. Genitori e figli procedono insieme in questo cammino interiore, che segna anche il loro itinerario di reciproca evangelizzazione.