Le seduzioni e i compromessi della politica tra lealtà e vendette, ambizione e tradimenti, verità e menzogne. George Clooney inaugura ufficialmente la 68esima Mostra di Venezia con Le idi di marzo, un film 'morale' tratto dall’opera teatrale Farragut North che denuncia non i grandi scandali destinati a occupare le pagine dei giornali, ma le piccole porcherie quotidiane di chi inevitabilmente rinuncia al proprio idealismo per abbracciare il cinismo necessario a sopravvivere ai giochi di potere dietro le quinte. Niente di nuovo, intendiamoci, ma l’amarezza del film sta proprio in questo e Clooney che si conferma un regista con idee e talento, onestà e rigore, costruisce un film classico, solido e appassionate anche grazie a uno straordinario cast che vede tra i protagonisti lo stesso George (in un ruolo più contenuto), l’astro nascente Ryan Goslin, due mostri sacri del calibro di Philip Seymour Hoffman e Paul Giamatti, Evan Rachel Wood e Marisa Tomei. Il film segue l’ascesa, la caduta e la risalita del giovane e brillante portavoce stampa del governatore Morris, impegnato nelle primarie del partito democratico per la candidatura alla presidenza. Una leggerezza gli costerà il licenziamento, ma la scoperta di un segreto che rischierebbe di compromettere l’elezione di Morris salverà la sua carriera, trasformandolo però in una persona diversa. E quello sguardo in macchina alla fine, dritto negli occhi dello spettatore sembra suggerire, come faceva Hitchcock nella celebre inquadratura di Giovane e innocente, che siamo tutti un po’ colpevoli, anche noi che ce ne stiamo serenamente seduti in poltrona. «I democratici preferiranno l’inizio del film, mentre i repubblicani ameranno la fine» scherza Clooney, attivista liberal tra i più convinti sostenitori di Obama. Eppure nel film, costato solo 12 milioni di dollari (in Italia arriverà a gennaio distribuito da 01) è evidente la disillusione, forse per una svolta mancata. «Stavamo lavorando alla sceneggiatura già nel 2007, ma poi Obama è stato eletto Presidente, eravamo tutti felici e pieni di speranza e un film così cinico sulla politica sembrava fuori luogo. Ma poi ci siamo accorti che era di nuovo tempo di rimettere mano a questa storia». Poi Clooney spiega: «Più che un film politico è una storia sulle scelte morali che potrebbe svolgersi anche a Wall Street. La vera questione è: sei disposto a venderti l’anima per raggiungere un obiettivo? Una domanda universale che rimanda a temi shakespeariani, perché le cose sono sempre andate nello stesso modo da sempre: allo spettatore lascio il compito di stabilire chi sia Cassio, Bruto o Giulio Cesare. Io ho sentitolo solo il dovere di porre delle domande più che dare risposte. Il mio intento è davvero quello di aprire un dibattito soprattutto nel mio paese che vive un grande momento di difficoltà». Tra i grandi temi del film c’è quello della seduzione: tutti i personaggi la usano come arma per ottenere ciò che vogliono, recitando un copione preciso. Inevitabile dunque una riflessione sull’analogia tra attori e politici. «Tra Washington e Hollywood esiste una differenza sostanziale e riguarda il senso di responsabilità. Il cinema non influisce sulla vita delle persone come fa la politica. È per questo che la politica non mi interessa » conclude Clooney. «Guardo Obama soffrire e mi convinco sempre di più di quanto piacevole sia il mio lavoro».