sabato 18 maggio 2024
L'Italia e altri 12 Paesi: fermate l'assalto a Rafah. Sbarcano gli aiuti umanitari sul nuovo molo di Gaza. Recuperati i corpi di tre israeliani uccisi il 7 ottobre al Nova Festival e portati via
Un campo di rifugiati palestinesi a Rafah

Un campo di rifugiati palestinesi a Rafah - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Si era capito, ma ora è ufficiale: le trattative per il rilascio degli ostaggi e la tregua nella Striscia di Gaza sono sospese perché le richieste di Israele e di Hamas sono inconciliabili. L'ha annunciato l'emittente televisiva israeliana Kan 11. Le fonti coinvolte nei colloqui «hanno indicato che le differenze sono molto ampie soprattutto sul termine "fine della guerra" e sulla richiesta di Israele di porre il veto sui nomi dei terroristi di cui Hamas potrebbe chiedere il rilascio». I mediatori di Egitto e Qatar hanno verificato l'impossibilità, in questa fase, di raggiungere un accordo con Israele. Un alto funzionario di Hamas, Khalil al-Hayya, ha dichiarato alla televisione al-Manar che i bombardamenti sulla Striscia hanno già ucciso il 70% degli ostaggi. Ne restano 132 nell'enclave, tra vivi e morti.

Nella tarda serata di ieri, l'aviazione militare israeliana ha compiuto un raid a Jenin, in Cisgiordania, uccidendo Islam Khamayseh, un miliziano delle Brigate Jenin. Due i feriti. Domenica è atteso in Israele il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, oggi in visita in Arabia Saudita.

Per scongiurare un'escalation in tutta la regione mediorientale, alti dirigenti dell'Amministrazione statunitense avrebbero avuto colloqui indiretti in Oman, nei giorni scorsi, con funzionari iraniani. Lo riferisce il sito americano Axios, citando fonti a diretta conoscenza del dossier. Simili colloqui si erano svolti a gennaio, sempre in Oman.

L'Italia e altri 12 Paesi: fermate l’assalto a Rafah

A cinque o sei chilometri dal check-point di Kerem Shalom, in terra israeliana, è caduto un ordigno sganciato da un aereo militare. Era diretto su Rafah, è atterrato a Yated. «L’ordigno non è esploso. Si tratta di un evento insolito, le cui circostanze saranno esaminate approfonditamente» informa un comunicato delle Forze di difesa. Dall’altra parte della barriera, che corre vicinissima al muro di frontiera egiziano, prosegue la fuga da Rafah. Finora sarebbero partite 630mila persone, quasi la metà del milione e mezzo di sfollati accorsi dal resto della Striscia di Gaza. Sono oltre dieci giorni che dai valichi meridionali di Rafah e di Kerem Shalom non entra e non esce più nulla e nessuno. Il confine egiziano è sigillato, nonostante le pressioni di Tel Aviv perché Il Cairo consenta il passaggio dei profughi. La costa desertica di al-Mawasi, senz’acqua né servizi, è l’unica alternativa «umanitaria» alla città distrutta di Khan Yunis.

L’offensiva su Rafah è nell’aria, calda e polverosa. Ma non è scattata «su larga scala», a sfidare l’avvertimento del presidente americano Joe Biden. A scongiurarla arriva anche una lettera dei ministri degli Esteri di tredici Paesi. Coordinati da Antonio Tajani per la presidenza italiana del G7, i ministri esprimono all’omologo Israel Katz la loro «opposizione a un’operazione militare su larga scala a Rafah» che «avrebbe conseguenze catastrofiche sulla popolazione». «Nell’esercitare il proprio diritto alla difesa», scrivono, «Israele deve rispettare il diritto internazionale, compreso il diritto umanitario». La lettera è stata inviata «alla luce della devastante e crescente crisi umanitaria» e chiede a Israele «un’azione urgente». La firmano i titolari degli Esteri di Italia, Canada, Danimarca, Francia, Finlandia, Germania, Giappone, Nuova Zelanda, Olanda, Regno Unito, Svezia, Australia e Corea del Sud.

L'attracco del primo carico di aiuti al pontile sulla costa di Gaza

L'attracco del primo carico di aiuti al pontile sulla costa di Gaza - Ansa

Combattimenti intensi nel maxi campo profughi di Jabaliya

Ma i combattimenti più violenti non riguardano Rafah. Si concentrano a Jabaliya, il più vasto degli otto storici campi profughi del Nord che dal 1948 accoglie i palestinesi che lasciarono i territori passati a Israele (nella Nakba, “catastrofe”). L’agenzia Reuters parla di feroci scontri nei vicoli stretti di Jabaliya. Residenti riferiscono che i carri armati si sono spinti fino al mercato e che, nell’avanzata, i bulldozer demoliscono le case e i negozi. L’esercito fa sapere di avere «intensificato il controllo operativo della zona»: sono «più di 60 i terroristi uccisi» in «scontri ravvicinati». Morto anche un soldato di vent’anni. Le vittime palestinesi sarebbero salite a 35.303.

Recuperati i corpi di tre uccisi il 7 ottobre: anche la ragazza del pick-up

Non è invece stato reso noto il luogo dove le Forze di difesa, in un’operazione congiunta con gli agenti segreti dello Shin Bet, hanno rinvenuto i cadaveri di tre israeliani portati a Gaza dopo essere stati uccisi il 7 ottobre al Nova Festival. Si tratta di Amit Buskila (28 anni), Shani Luk (23) e Itzhak Galarenter (56). La foto di Shani martoriata riversa sul retro di un pickup tra i terroristi di Hamas, era diventata un simbolo del massacro. «Il cuore si spezza – ha detto il premier Benjamin Netanyahu –. Riporteremo a casa tutti i nostri ostaggi, vivi e morti».

Razzi da Hezbollah. Nei raid aerei sul Libano tre vittime civili

Altre tre vittime si contano sul fronte nord di Israele, negli scontri con gli Hezbollah libanesi. Si tratta di un 13enne e due adulti, un libanese e un siriano, che viaggiavano su un piccolo camion a Zahrani, nella provincia libanese di Sidone. Tra i cinque feriti, alcuni minori. Secondo media locali, erano lavoratori a giornata. Per l’esercito è stata colpita «un’infrastruttura terroristica dove operavano gli Hezbollah e che conteneva numerosi compound usati dal loro sistema di difesa aereo, che deliberatamente si nasconde in mezzo ai civili».

Oltre 70 razzi hanno fatto suonare le sirene nel nord della Galilea, prima di essere abbattuti dall’Iron Dome. «Riporteremo sani e salvi i nostri residenti nel Nord – ha detto il ministro della Difesa, Yoav Gallant, visitando una base militare –. Vogliamo farlo tramite un accordo perché sappiamo che la guerra ha un prezzo e preferiamo evitarla, ma teniamo conto anche che il conflitto potrebbe avvenire».

A Gaza sbarcano gli aiuti sul molo galleggiante costruito dagli Usa

Mentre all’Aja la Corte internazionale di giustizia ha iniziato a deliberare sulle nuove richieste del Sudafrica che accusa Israele di crimini contro l’umanità, l’unica buona notizia proveniente da Gaza è la consegna dei primi aiuti umanitari arrivati dal mare tramite il molo galleggiante costruito dagli Stati Uniti a tempo di record. Si tratta di 8.400 kit, che includono teli di plastica per i rifugi temporanei. Un’altra spedizione di generi alimentari, annuncia la Commissione Europea, è partita via nave da Cipro.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: