sabato 18 maggio 2024
Il mercato del gioco da tavolo a livello globale vale 13 miliardi di dollari, con previsioni di raddoppio entro il 2030. In Italia, il settore è ancora frammentato, ma ha grande potenziale
Il boom dei giochi da tavolo: l’Italia c'è (anche se la denatalità fa paura)
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Si è chiusa domenica a Modena la 15esima edizione del PLAY, la fiera di riferimento per il mondo del gioco da tavolo in Italia, dove decine di migliaia di persone di età tra i 20 e i 50 anni, per il 60% uomini, si riversano per tre giorni per provare tutte le novità di un settore in grande ascesa che ogni anno cresce a doppia cifra. Moltissimi, anche durante i mesi dei lockdown, hanno ri-scoperto il piacere di giocare in famiglia attorno al tavolo della cucina. Mediamente a Modena, durante la fiera, si registrano 40 mila presenze di appassionati invogliati dalla possibilità di provare tutte le novità. Nel mondo il settore ha raggiunto un giro d’affari significativo: è valutato complessivamente attorno ai 13 miliardi di dollari con proiezioni di raddoppio – a seconda delle stime – tra il 2028 e il 2030. L’Italia è un mercato molto segmentato, con decine di editori piccolini (mediamente hanno solamente cinque addetti) e meno di una decina di aziende con oltre quindici dipendenti.

Per fare qualche esempio, DvGiochi, la più vecchia e consolidata tra le aziende italiane, attiva fin dal 2001, ha chiuso il 2023 con 7 milioni di fatturato complessivo tra le due società che controlla (DvGames e Ghenos, frutto di una acquisizione perfezionata nel 2021) nel mercato italiano, con un +14% rispetto al 2022 e un totale di 25 dipendenti e due sedi, una a Perugia e una Milano. Sempre a Milano, Cranio Creations, attiva dal 2009, è ora un gruppo con 26 collaboratori e 4 milioni di fatturato (+41% sull’anno precedente). Lorenzo Tucci Sorrentino, ceo e founder dell’azienda, spiega: «Credo che il mercato del Hobby in Italia sia ad un bivio. Il trend attualmente è sicuramente positivo, ma siamo ancora molto lontani dalla diffusione di massa presente in Francia, Spagna o Germania».

Ma in Italia operano anche i colossi stranieri, in primis Ravensburger – conosciuta dai più per i puzzles ma da tempo attiva anche nel gioco da tavolo – che ha impiantato una filiale da 25 persone che si occupa anche della penisola iberica. A livello globale Ravensburger ha fatturato 720 milioni di euro con una previsione per l’anno in corso di +13% circa e – come spiega il Country Manager Francesco Bracone – “L’Italia vale tra il 4 e il 5% di quel fatturato e io stimo che cresceremo anche più della media dell’azienda madre tra il 25 e il 30%” grazie al lancio del gioco di carte collezionabili ispirata ai personaggi Disney.

Tra le aziende straniere molto forti nel settore c’è Asmodee, uno dei giganti internazionali del settore: in Italia con 45 dipendenti e 23 milioni di fatturato lo scorso anno, forti anche del loro ruolo di distributori. «Siamo sempre più presenti nelle case degli italiani, con i nostri titoli, ma vediamo ancora tanto spazio, soprattutto se vediamo ai numeri del mercato estero, dove il gioco da tavolo è già affermato da anni, mentre da noi il processo per non renderlo più solo un prodotto di nicchia è ancora in corso – dicono i country manager di Asmodee, Luca Cattini e Massimo Bianchini. –. Noi vogliamo fare la nostra parte ed è per questo che spendiamo tante energie e risorse anche dove ci conoscono in pochi, come ad esempio il Salone del Libro di Torino».

«Per quanto riguarda il futuro del mercato in senso lato, ho l’impressione che sia necessario aumentare il potere d'acquisto degli italiani visto che volumi e scontrino medio sono in contrazione» dice Tucci Sorrentino, mentre per Roberto Corbelli, Ceo di DvGiochi, uno dei problemi del settore è dovuto anche al fatto che i giochi da tavolo hanno un ciclo di vita sempre più breve sugli scaffali e questo comporta problemi nello stoccaggio. Bracone di Ravensburger invece guarda alla crisi demografica come ad una delle principali minacce per il settore: «Non ci sono bambini da far appassionare al gioco da tavolo» e questo vuol dire meno clienti in futuro.

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