La gerarchia ai tempi del digitale
Ecco come stanno cambiando i rapporti tra dirigenti e lavoratori. Ne parla Marina Capizzi, cofondatrice di Primate Consulting

Con la diffusione del digitale e dell'Ia-Intelligenza artificiale stanno cambiando anche i rapporti tra dirigenti e lavoratori nelle aziende. Nella gerarchia tradizionale il potere decisionale e il potere sulle persone aumentano salendo. Mentre il contatto con i clienti e gli utenti aumenta scendendo. Questo significa che più le persone incontrano quotidianamente i bisogni e le aspettative di chi paga i prodotti e i servizi, meno possono prendere decisioni. Inoltre, chi sta “sopra” ha anche potere di decidere su chi sta “sotto”, con impatti significativi sulla qualità della vita professionale, sulla crescita e sulla carriera. L’effetto più immediato di questa impostazione è che la piramide tradizionale coltiva soprattutto la paura e l’obbedienza al capo il quale, spesso, diventa il “cliente” più importante. Questa struttura, nata in un mondo semplice e prevedibile (che non esiste più), ha permesso alle imprese di crescere. Ma, oggi, rischia di diventare una gabbia che limita l’espressione del potenziale delle persone, dei team e dell’intera organizzazione, con effetti negativi su clienti, utenti, collettività. In un mondo complesso e in continuo cambiamento come il nostro, infatti, c’è bisogno del contributo di tutti per trovare soluzioni efficaci e spesso nuove, collaborando con i colleghi. Invece la distanza tra problemi / opportunità e le decisioni, produce frammentazione, rigidità, burocrazia, lentezza e silenzio.
«Gli effetti negativi sono ampiamente documentati - spiega Marina Capizzi, cofondatrice di Primate Consulting, consulente di evoluzione organizzativa -. Le persone evitano di esporsi. Nei contesti gerarchici fondati sul timore del capo, prevale il silenzio difensivo: non si segnalano errori né si condividono idee per paura di conseguenze. Amy Edmondson (1999) ha dimostrato che i team dove prevale la paura di sbagliare imparano meno, perché problemi ed errori vengono nascosti, anche quando sono legati a criticità importanti e comportano rischi. Le persone che lavorano insieme non diventano un team perché non riescono a collaborare e non hanno autonomia decisionale. In sistemi dove decide sempre il ruolo più alto, infatti, c’è poco spazio per il lavoro di squadra che nasce proprio quando si affrontano insieme sfide comuni assumendosi la responsabilità del risultato. Inoltre, nella gerarchia tradizionale - come ho mostrato nel mio libro Non morire di gerarchia, Franco Angeli - l’unità organizzativa di base è il singolo nel singolo ruolo. Anche perché, verticalmente, le differenze di status soffocano il dialogo e, orizzontalmente i silos funzionali, impediscono lo scambio trasversale di informazioni e di esperienze. Si riduce la capacità di innovare le prassi quotidiane e di condividere insight che migliorino prodotti e servizi perché, per evitare di sbagliare e a causa della pochezza del confronto verticale e orizzontale, si fa come si è sempre fatto, evitando di sperimentare strade nuove. Tutto questo ha effetti non positivi sul benessere delle persone e delle performance».
In Non morire di gerarchia, Capizzi sostiene che il punto non è abolire la gerarchia tradizionale, ma farla evolvere, trasformandola in una risorsa di connessione. In una gerarchia evoluta il potere non è esercitato in una logica di comando e controllo per dividere, ma come strumento di abilitazione per consentire a tutti i livelli dell’organizzazione di contribuire al risultato comune, coltivando la connessione tra le persone, dentro i team e fra i team, e con i clienti. Nel nostro mondo tutto si trasforma rapidamente e, per tenere il passo, serve percepire problemi e opportunità trovando velocemente risposte pertinenti. I vertici, da soli, non possono più garantire questo processo. Serve diminuire la distanza tra problemi e soluzioni, portando il più possibile le decisioni dove i problemi si generano. Servono persone che collaborino, integrando le competenze a tutti i livelli dell’organizzazione. Gli investimenti formativi tradizionali sono da sempre destinati ai singoli individui ma oggi è molto più utile investire sui team reali - quelli composti dalle persone che lavorano insieme tutti i giorni, nei negozi, in produzione, negli uffici, sul territorio – perché sviluppino le competenze necessarie, compresa quella di lavorare insieme. Potenziare l’autonomia dei team è un punto di partenza concreto per far evolvere la gerarchia adattandola alla modernità.
Ma su cosa dobbiamo puntare per rafforzare le performance dei team? «Il progetto Aristotele di Google - risponde la consulente - ha analizzato oltre 180 team (ingegneristici e cross-funzionali) per identificare i fattori che determinano la performance dei gruppi, e ha individuato cinque fattori chiave dei team efficaci, ordinati per importanza. Sicurezza psicologica: è risultata la variabile che fa la differenza nella performance di un team perché stimola a sperimentare strade nuove senza farsi bloccare dalla paura di sbagliare, facilitando innovazione e apprendimento. Affidabilità: intesa come rispetto delle scadenze e degli impegni. Struttura e chiarezza: di obiettivi, ruoli e piani d’azione condivisi. Significato: inteso come percezione del significato del proprio lavoro Impatto: la convinzione che il lavoro del team abbia un effetto positivo e rilevante. Da questa ricerca emerge che la sicurezza psicologica è la variabile più importante e la condizione abilitante: la sua assenza, infatti, limita lo sviluppo delle altre quattro. I team efficaci sono quelli in cui le persone si sentono libere di esporsi, fare domande, riconoscere errori e proporre idee senza paura di essere giudicate o punite. La gerarchia ha forte impatto sulla sicurezza psicologica, e viceversa. Nella mala gerarchia il capo usa il potere gerarchico come leva per generare paura, e questo spegne la sicurezza psicologica. Nella buona gerarchia il capo “crea contesto” usando il potere gerarchico per favorire un clima dove le persone si sentano legittimate a condividere, assumere iniziative e responsabilità, senza eliminare il conflitto ma, anzi, usandolo come strumento per migliorare le soluzioni. Ecco da dove partire, coinvolgendo i team e i loro responsabili. Il nostro tempo ci chiede un salto. Perché restiamo intrappolati nella mala gerarchia? Perché ci siamo abituati a considerarla naturale, inevitabile e facciamo fatica ad andare oltre la paura. Paura, da parte di chi sta in “alto”, di perdere controllo e status. Paura di chi sta in “basso” di esporsi per far sentire la propria voce. Queste due paure, se non vengono affrontate in modo trasparente, possono cristallizzare l’organizzazione soffocando ogni movimento evolutivo. Non è questo di cui abbiamo bisogno oggi. Tenere in vita una struttura inadeguata perché incapace di adattarsi ai tempi, può solo contribuire ad aumentare lo stress in “alto” e la frustrazione o gli alibi in “basso” creando disconnessione con i clienti, gli utenti e la collettività. Far evolvere le logiche di distribuzione del potere decisionale è il salto culturale richiesto alle organizzazioni che vogliono prosperare in un mondo complesso».
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