mercoledì 15 maggio 2024
L'Ordine dei giornalisti ha ricordato che la definizione è vietata dalla Carta di Treviso: «Le bambine sono le vittime e gli uomini che abusano di loro, i pedofili, sono i colpevoli»
Due ragazzine sedute per strada

Due ragazzine sedute per strada - Ansa

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Sono state subito soprannominate “baby escort”. La vicenda che sta facendo molto discutere in questi giorni riguarda tre ragazze di 16 anni che sono state fatte prostituire in hotel di lusso della provincia di Bari, e Barletta-Andria-Trani. Quattro donne e due uomini, tra i 21 e i 35 anni, sono finiti in carcere. L’accusa è quella di aver «indotto favorito, sfruttato, gestito e organizzato la prostituzione di tre ragazze minori, traendo un ingente guadagno dalla prestazioni sessuali offerte, a pagamento, ad una pluralità di clienti». Si tratta di uomini, per lo più professionisti facoltosi, disposti a pagare mille euro per rapporti sessuali con ragazzine. Due di questi, di 42 e 47 anni, sono agli arresti domiciliari. Le indagini sono iniziate nel 2022 a partire dalla mamma di una delle minorenni adescate con la promessa di facili guadagni. Guadagni che per le ragazze si traducevano in regali e soldi, dai 100 ai 150 euro.

Peccato che i titoli dei giornali e dei servizi tv abbiano parlato dell'inchiesta e delle sue novità riferendosi sempre, appunto, alle «escort 16enni». Solo qualche esempio di titolazione: «Baby escort a Bari, la 16enne: "Ecco la mia prima volta, mi dicevano cosa fare"» (Libero); «Baby escort a Bari, la rete degli hotel che ospitavano gli incontri delle tre 16enni» (la Repubblica); «Baby squillo a Bari, arresti della polizia: sesso con tre ragazze 16enni in alberghi di lusso» (Quotidiano Nazionale).

Di qui la protesta (sacrosanta, aggiungiamo noi) degli organismi deputati alla vigilanza sulla deontologia della professione gornalistica: «Sono adolescenti costrette alla prostituzione, non baby escort o baby prostitute» hanno ricordato in una nota congiunta le Commissioni pari opportunità di Ordine dei Giornalisti, Fnsi, Usigrai e l’associazione GiULiA Giornaliste. «Condanniamo l’uso di questi termini e richiamiamo giornaliste e giornalisti all’uso corretto e rispettoso del linguaggio». La questione era già stata precisata nel 2016 da una delibera del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti: «L'uso reiterato che molte testate, televisive, cartacee e online, fanno della definizione “baby squillo” è un'inammissibile violazione della Carta di Treviso», cioè la carta deontologica dei giornalisti per la tutela dei minori. Si sottolineava la necessità e l’importanza di non confondere le responsabilità. «Le bambine sono le vittime e gli uomini che abusano di loro, i pedofili, sono i colpevoli. Per un reato così grave non ci sono attenuanti. Usare i termini corretti è alla base del nostro lavoro. Scambiare le vittime con i colpevoli dà luogo ad una informazione falsa e fuorviante».

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